Nessuna impresa italiana ha probabilmente avuto un impatto sull’immaginario popolare e sulle pratiche manageriali (non solo del nostro Paese) più grande dell’Olivetti di Camillo e Adriano. In un periodo relativamente limitato – dalla nascita dell’Olivetti & C. (1908) alla morte di Adriano (1960) trascorrono poco più di cinquant’anni – l’impresa eporediese vive un periodo di straordinaria crescita che la porta a operare in ottanta Paesi e a realizzare più del 60% del fatturato all’estero. Alla morte di Adriano, l’Olivetti è probabilmente l’impresa italiana più famosa e ammirata a livello internazionale. Le ragioni alla base del fascino imprenditoriale che l’Olivetti esercita tuttora su numerosi imprenditori non sono tuttavia spiegabili considerando solo l’elevato successo competitivo e reddituale raggiunto. Esse sono soprattutto riconducibili ai valori etici e alla filosofia imprenditoriale di stampo umanistico che ne spiegano il successo. Gli Olivetti sviluppano, infatti, un modo di fare impresa che pone l’uomo al centro del progetto e che si pone l’obiettivo di accendere “la fiamma divina” che c’è in ciascuna persona. Essi danno cioè vita a un modello imprenditoriale in cui l’assenza di ruoli organizzativi definiti e la formazione continua inducono le persone a sperimentare e innovare continuamente la loro attività e i loro prodotti lungo quattro dimensioni interconnesse tra loro: tecnologica, organizzativa, culturale ed estetica. Tale libertà e creatività hanno generato uno stile aziendale inconfondibile che ne ha profondamente caratterizzato i prodotti, gli edifici e la comunicazione. Per capire la grandezza dell’impresa eporediese basti pensare che la prima mostra di prodotti industriali organizzata dal MoMA di New York è dedicata al gruppo di Ivrea (“Olivetti: design in industry”) e che il presidente di Ibm – dopo avere visto i prodotti esposti nel negozio Olivetti sulla Quinta Strada – si reca a Ivrea per visitare l’impresa e conoscere personalmente il suo leader. Pur essendo stata molto raccontata, la storia dell’Olivetti presenta ancora oggi notevoli spunti di approfondimento che la rendono affascinante e interessante. In questo lavoro intendiamo presentarla a un pubblico ampio e trasversale, cercando di dare risposta a tre interrogativi: quali sono le origini della filosofia imprenditoriale degli Olivetti, quali sono i pilastri su cui si fonda il successo competitivo e reddituale dell’impresa (fino alla scomparsa di Adriano) e, infine, quale eredità ci ha lasciato.
Le radici culturali della filosofia imprenditoriale degli Olivetti
L’Olivetti è il risultato delle intuizioni e della passione di due imprenditori straordinari: Camillo e Adriano. Camillo (1868-1943) fonda la Olivetti nel 1908 e la dirige fino al 1932. Adriano (1901-1960) succede al padre alla guida dell’impresa che dirige fino alla sua scomparsa. Camillo e Adriano sono due imprenditori diversi, ma con molti punti in comune. Camillo è un socialista che disdegna il capitalismo e la finanza. Si sente responsabile sia di garantire il lavoro ai propri collaboratori, sia di favorirne la crescita professionale e il benessere personale. È un accentratore che difende la propria indipendenza e gestisce l’impresa con prudenza. Concentra la sua attenzione sulla fabbrica e sulla produzione. Il suo obiettivo principale consiste nel progettare e nel realizzare in modo efficace i prodotti finiti e i macchinari necessari per produrli. Adriano è, al contrario, un pensatore umanista, un idealista più portato a progettare che ad agire in modo concreto. Anticipa numerosi cambiamenti che attraversano la società e l’economia, non solo italiane, durante il secolo scorso. Sviluppa una visione ampia dell’innovazione, che integra a sistema la tecnologia, il gusto estetico, la cultura e l’organizzazione delle persone. Crea un sistema di welfare aziendale così ricco e all’avanguardia da attirargli l’antipatia di numerosi industriali e sindacalisti. Infine, sviluppa un progetto di riforma della società dando vita a un partito politico (il Movimento Comunità). Nonostante queste profonde differenze, padre e figlio hanno anche molti tratti in comune. Sono ingegneri: Camillo elettrotecnico e Adriano chimico. Sono animati da profondi ideali: Camillo si ispira al socialismo, Adriano è influenzato da pensatori europei del calibro di Simone Weil, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier e Walther Rathenau. Sono convinti che l’innovazione (non solo tecnologica) rappresenti il motore della crescita e del successo delle imprese. Sono persone curiose che viaggiano, soprattutto negli Stati Uniti, per visitare grandi imprese, centri di ricerca e università, al fine di apprendere le più importanti innovazioni tecnologiche e organizzative dell’epoca. Sono convinti che le imprese debbano contribuire al progresso economico, sociale e culturale dei collaboratori, delle loro famiglie e della società allargata.
Il modello imprenditoriale degli Olivetti
Camillo e Adriano Olivetti hanno dato vita a un modello imprenditoriale che rappresenta una terza via tra il modello capitalistico e quello marxista. Gli Olivetti non ricercano la massimizzazione del profitto, ma si pongono l’obiettivo di creare un’impresa che coniughi il successo competitivo e reddituale con quello sociale. Con la loro attività imprenditoriale, essi intendono anche “dare consapevolezza di fini al lavoro” e contribuire “all’elevazione materiale, culturale, sociale” delle persone. Ciò che rende concretamente possibile raggiungere risultati eccezionali lungo queste tre dimensioni, realizzando di fatto quella che alcuni hanno definito un’“utopia concreta”, è l’incessante spinta a innovare l’impresa lungo quattro dimensioni tra loro integrate: la tecnologia, l’organizzazione aziendale, l’estetica e la cultura. L’innovazione tecnologica è uno dei pilastri su cui si fonda il successo dell’impresa eporediese. Gli Olivetti creano una cultura aziendale che incoraggia tutti i collaboratori a produrre innovazioni (di prodotto o di processo) a prescindere dal ruolo a essi assegnato. È emblematica la storia di Natale Capellaro che, dopo essere entrato in azienda come apprendista, riesce – grazie alla sua determinazione e abilità – a diventare prima caporeparto del montaggio, poi della progettazione e infine direttore generale tecnico dell’impresa. L’orientamento all’innovazione consente all’Olivetti di attraversare con successo tre diverse fasi tecnologiche: la meccanica (e.g., macchine per scrivere, macchine utensili, macchine contabili), l’elettromeccanica (e.g., telescriventi, macchine da calcolo) e l’elettronica (e.g., il primo elaboratore a transistor – l’Elea 9003 – e il primo computer desktop – la Programma 101). L’innovazione organizzativa ha per oggetto i cambiamenti nell’organizzazione e nella gestione del personale. L’impresa passa in pochi anni dall’organizzazione semi-artigianale centrata sulla produzione di Camillo a un’organizzazione moderna fondata sulla specializzazione e sulle funzioni. Non volendo ingabbiare le persone in ruoli e posizioni formali, Adriano si rifiuta di approvare un vero e proprio organigramma e preferisce coordinare le attività mediante un’organizzazione informale supportata da un sistema di valori condivisi. Sotto la sua guida, l’impresa introduce le tecniche dell’organizzazione scientifica del lavoro, progetta mansioni arricchite e allargate, crea le isole di lavoro, con le quali affida di fatto ai lavoratori la pianificazione, il controllo e, di conseguenza anche, la responsabilità del processo produttivo e del prodotto finale. Inoltre, crea all’interno dell’impresa un laboratorio di psicologia, diretto da Cesare Musatti, a cui affida il compito di migliorare il processo di selezione e di gestione del personale. Infine, grazie agli elevati livelli di produttività e profittabilità raggiunti, a più riprese l’impresa riduce l’orario di lavoro, aumenta la remunerazione e amplia la gamma di servizi offerta ai lavoratori, alle loro famiglie e, in alcuni casi anche, alla comunità circostante. L’innovazione estetica riguarda principalmente la definizione dello stile aziendale. Nella visione di Adriano, funzionalità ed estetica sono componenti dell’identità aziendale che devono caratterizzare tutte le manifestazioni dell’impresa. La comunicazione Olivetti sottolinea la modernità dei prodotti, combinando aspetti persuasivi di natura commerciale con raffinati elementi estetici e culturali. La stretta collaborazione tra progettisti industriali e designer consente all’impresa di creare prodotti belli, funzionali ed ergonomici. Alcuni prodotti diventano vere e proprie icone nel mondo del design. Si pensi alla macchina per scrivere portatile Lettera 22 – disegnata da Marcello Nizzoli – che si aggiudica il Compasso d’oro, è compresa nella collezione permanente del MoMA di New York ed è valutata il miglior prodotto di design del XX secolo dall’Illinois Institute of Technology. Infine, lo stile Olivetti permea anche gli spazi fisici dell’impresa (gli stabilimenti, le abitazioni, i negozi), poiché Adriano è fermamente convinto che la qualità del processo produttivo e il benessere dei lavoratori siano strettamente interconnessi tra loro. Non per caso l’integrazione tra fabbrica, città e territorio che caratterizza l’Olivetti a Ivrea è stata inclusa nel Patrimonio mondiale dell’Umanità dal World Heritage Committee dell’Unesco.
L’innovazione culturale in fabbrica
L’innovazione culturale è vista come uno strumento fondamentale per alimentare la crescita personale e l’emancipazione sociale dei lavoratori. Adriano assume alcuni dei migliori intellettuali dell’epoca (tra gli altri, Geno Pampaloni, Franco Momigliano, Luciana Nissim, Libero Bigiaretti) per favorire l’integrazione tra la cultura umanistica e quella tecnologica. L’innovazione culturale viene realizzata soprattutto attraverso i corsi di formazione (professionale e manageriale) e le iniziative culturali. La formazione permanente dei lavoratori è uno dei tratti distintivi dell’impresa e comprende sia le attività formative in aula sia varie forme di learning on the job. Adriano non solo potenzia la formazione tecnico-professionale, ma crea sia la prima scuola europea di management (insieme alla Fiat) sia la prima dedicata alle vendite. Inoltre, organizza stabilmente varie iniziative culturali come le biblioteche di fabbrica, numerosi eventi (come conferenze, concerti, mostre), e un’ampia attività editoriale (sull’arte, la tecnica e organizzazione aziendale, le scienze sociali). L’Olivetti di Camillo e Adriano era un’impresa straordinaria, capace di coniugare la competitività e la redditività aziendale con il benessere dei lavoratori e della comunità locale. Nonostante avesse raggiunto una solida posizione competitiva a livello internazionale, vari eventi – tra cui la morte prematura di Adriano e dell’ingegner Mario Tchou, che era a capo del laboratorio di ricerche elettroniche dell’Olivetti – determinano la fine dell’avventura imprenditorial degli Olivetti. A distanza di così tanti anni è lecito chiedersi che cosa rimanga di quella esperienza e quanto essa possa rappresentare tuttora un esempio in grado di ispirare la visione di imprenditori e manager. Una recente ricerca ha cercato di risponder a questa domanda attraverso la realizzazione di alcune interviste sia con i vertici delle associazioni che promuovono i valori olivettiani sia con vari imprenditori che si ispirano a tale esperienza. Per quanto concerne i primi, gli eredi di Adriano e alcuni suoi stretti collaboratori hanno costituito delle associazioni o fondazioni che continuano a diffondere la conoscenza del modello imprenditoriale olivettiano e dei valori che ne sono alla base. Tra esse si ricordano la Fondazione Adriano Olivetti, l’Associazione Archivio Storico Olivetti e l’Istituto superiore di studi economici Adriano Olivetti (Istao). L’opera incessante di queste organizzazioni ha preservato la memoria dell’impresa e dei suoi protagonisti e continua tuttora a stimolare il dibattito sull’attualità del modello imprenditoriale degli Olivetti.
Gli imprenditori ”olivettiani”
Grazie ai suggerimenti e alle indicazioni ricevute dai responsabili dei centri Olivetti, la ricerca ha individuato alcuni imprenditori definiti come “olivettiani”, poiché si ispirano ai valori e ai princìpi di Camillo e Adriano. Le interviste con vari imprenditori e manager olivettiani hanno confermato che la storia dell’Olivetti rappresenta tuttora un faro che illumina e stimola numerose persone a perseguire un modo di fare impresa che pone le persone al centro del progetto. Gli imprenditori si sono avvicinati al modello imprenditoriale degli Olivetti in modi molto diversi. Alcuni lo conoscono perché vi hanno lavorato negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso e hanno quindi sperimentato personalmente i vantaggi della filosofia imprenditoriale dell’impresa eporediese. Anche negli anni successivi alla morte di Adriano, coloro che hanno iniziato la loro carriera professionale in Olivetti hanno vissuto un’esperienza unica, che gli ha permesso di maturare delle forti convinzioni “sul perché e sul come fare impresa”. Altri imprenditori sono venuti a conoscenza del modello olivettiano durante un evento o un corso organizzato da uno dei centri sopra menzionati o grazie all’incontro con uno dei tanti manager, studiosi o formatori che continuano a promuoverlo. Infine, alcuni imprenditori si sono appassionati a questo modello imprenditoriale grazie alla lettura degli scritti di Adriano o alla bellezza e funzionalità dei prodotti Olivetti. A esclusione di coloro che hanno vissuto direttamente un’esperienza professionale in Olivetti, gli imprenditori hanno spesso conosciuto il modello olivettiano solo dopo avere avviato il proprio progetto imprenditoriale. Questi imprenditori hanno visto nel modello dell’impresa eporediese sia la conferma della bontà delle loro scelte passate, sia una fonte di ispirazione per le loro scelte future. Alcuni di loro sono diventati promotori attivi del modello olivettiano mediante l’organizzazione di varie iniziative, come la visita agli edifici industriali e civili di Ivre o al negozio di Venezia (progettato da Carlo Scarpa), l’organizzazione di un seminario per i loro collaboratori o di un evento pubblico sull’esperienza olivettiana. Sono soprattutto imprenditori a capo di imprese di piccole e medie dimensioni. Talvolta, sono imprenditori “olivettiani a loro insaputa”, che cioè si sono ispirati ai valori di Camillo e Adriano in modo naturale e istintivo, senza conoscerne la storia. Tuttavia, una volta conosciuto il modello, lo hanno studiato, se ne sono appassionati e lo hanno fatto diventare il punto di riferimento della loro azione imprenditoriale. Pur non raggiungendo la vastità e la complessità del modello olivettiano, queste imprese condividono con esso alcune caratteristiche comuni: hanno una posizione di leadership internazionale nel proprio settore o nicchia, investono su progetti di ricerca a breve e a medio-lungo termine, favoriscono la crescita personale e professionale dei collaboratori, adottano una struttura orizzontale e utilizzano ampiamente la delega, attivano progetti di collaborazione di lungo periodo con numerosi stakeholder (e.g., fornitori, clienti, università e centri di ricerca), organizzano varie iniziative culturali e sociali a favore dei collaboratori e del territorio circostante. Gli imprenditori intervistati ritengono che il modello olivettiano sia vincente perché crea uno spirito collaborativo e motiva le persone a sviluppare al massimo il loro talento. Se attivamente coinvolte nel progetto imprenditoriale, le persone maturano un senso di appartenenza e di identificazione con l’impresa che le spinge a comportarsi come l’imprenditore. Ad esempio, un imprenditore ha raccontato che un suo collaboratore è andato per vari mesi ogni domenica mattina – a proprie spese e a sua insaputa – a visitare l’installazione di un macchinario presso un’azienda cliente al fine di controllare il suo corretto funzionamento e di riparare eventuali guasti. Come dimostra questo esempio, i valori e i princìpi olivettiani alimentano nelle persone un’energia e una passione così grande da comportare persino il rischio che essi esagerino (cioè lavorino troppo a lungo o si assumano responsabilità troppo grandi), costringendo così gli imprenditori a intervenire per frenarne l’entusiasmo.
Le condizioni di un modello vincente
Secondo gli imprenditori intervistati, il modello imprenditoriale degli Olivetti può essere applicato efficacemente solo in presenza di alcune condizioni. In primo luogo, è importante selezionare persone che ne condividano i princìpi su cui si fonda e che concepiscano il lavoro come uno strumento di crescita personale e professionale. Coerentemente, gli imprenditori dedicano grande attenzione al processo di selezione dei candidati che, in linea con l’esperienza olivettiana, privilegia il loro potenziale e l’aderenza ai valori rispetto alle esperienze pregresse. Gli imprenditori hanno maturato la convinzione che solo i collaboratori che aderiscono a questo modello imprenditoriale rimangono a lungo in azienda – a volte anche per tutta la loro vita professionale – mentre coloro che non ne condividono i valori lo considerano stressante e lasciano l’impresa dopo un breve periodo. In secondo luogo è importante valutare le conseguenze della crescita aziendale sull’efficacia del modello. È infatti più semplice creare un senso di identificazione e di appartenenza all’interno di imprese di piccole e medie dimensioni, dove è possibile costruire una relazione individuale con tutti i collaboratori. All’aumentare della dimensione e della complessità aziendale, le imprese creano dei ruoli organizzativi intermedi. Tuttavia, non sempre chi ricopre tali ruoli interpreta correttamente i valori imprenditoriali, contribuendo così a ridurre la coerenza e l’efficacia del modello. Consapevoli di questo rischio e ispirandosi all’esperienza degli Olivetti, gli imprenditori organizzano varie iniziative aziendali (come, ad esempio, corsi di formazione o eventi culturali) e adottano alcune pratiche manageriali (come la comunicazione dei piani e dei risultati aziendali o la creazione di ambienti di lavoro belli e sicuri) al fine di alimentare continuamente il senso di appartenenza e di partecipazione dei lavoratori. In terzo luogo, per garantire la continuità del modello imprenditoriale è fondamentale gestire efficacemente il passaggio generazionale. Uno dei problemi che aveva contribuito a indebolire l’esperienza imprenditoriale degli Olivetti era infatti l’assenza di un leader in grado di prendere le redini dalle mani di Adriano, anche a causa delle tensioni che caratterizzavano i vari rami della famiglia proprietaria. Gli imprenditori intervistati sono consapevoli di dovere pianificare per tempo la loro successione e di dovere identificare un leader che ne condivida i valori e sia in grado di guidare l’impresa con successo. Nel compiere questa scelta, l’imprenditore deve essere disposto a selezionare il miglior leader possibile, scegliendolo anche al di fuori della famiglia proprietaria. Alcuni stanno anche valutando se adottare soluzioni giuridiche (come la fondazione) che diluiscono l’influenza della famiglia a favore del coinvolgimento di altri stakeholder. Questo è un tema caro a Adriano, che aveva costituito il Consiglio di gestione – composto da persone nominate da lui e dai dipendenti – al fine di favorire la cooperazione stabile tra lavoratori, dirigenti e azionisti. Nella sua visione, il Consiglio di gestione e il sindacato Comunità di Fabbrica (poi ridefinito Autonomia Aziendale) erano dei passaggi intermedi verso la trasformazione della società in una fondazione governata da rappresentanti del territorio, dei lavoratori e del mondo della cultura. In quarto luogo, per fare prosperare l’impresa nel tempo, chi la governa deve gestire efficacemente la tensione tra i risultati economici e i risultati sociali e ambientali nel breve termine.
Il benessere delle persone nel business model
Secondo alcuni imprenditori, sviluppare sin dall’inizio un business model che consenta di produrre buoni risultati economici è una condizione necessaria per sostenere le iniziative sociali, che successivamente autoalimentano il modello favorendo l’efficienza e l’innovazione aziendale. La generazione di risorse finanziarie è funzionale ad attivare quelle iniziative organizzative e culturali che consentono di coniugare nel lungo periodo l’economicità, da un lato, e il benessere delle persone e del territorio, dall’altro. L’equilibrio economico non si fonda principalmente sulla ricerca dell’efficienza, ma è soprattutto alimentato dal perseguimento di nuove opportunità di sviluppo. La stessa esperienza olivettiana suggerisce questa opzione. Quando nel 1952 l’impresa affronta una crisi della domanda, Adriano deve decidere se: licenziare alcuni lavoratori oppure investire per promuovere la crescita aziendale. Posto di fronte a queste alternative, decide senza esitazione di perseguire l’opzione dello sviluppo. Anche gli imprenditori intervistati vedono il licenziamento di un dipendente come una sconfitta personale, che cercano di evitare in tutti i modi salvo che il collaboratore abbia violato i valori etici alla base del modello.
Conclusioni
Nonostante l’avventura di Camillo e Adriano Olivetti si sia esaurita già da diversi decenni, vi sono ancora numerosi imprenditori e manager del nostro Paese che si ispirano a essa. Per fortuna, la loro straordinaria avventura non è andata perduta ma, grazie all’azione di varie associazioni e manager, è diventata parte integrante del patrimonio imprenditoriale del nostro Paese. Essa concorre a formarne la cultura imprenditoriale italiana e, a distanza di tanto tempo, alimenta ancora un certo modo di fare impresa. La permanenza del modello olivettiano come punto di riferimento di numerose imprese del nostro Paese ci impone alcune riflessioni conclusive sulla sua attualità e universalità. In primo luogo, tale modello è tuttora attuale anche perché le crisi ricorrenti degli ultimi decenni hanno stimolato una riflessione critica sul modello capitalistico liberista di matrice angloamericana, che si fonda sull’utilitarismo individuale, sulla creazione di valore finanziario, sul profitto come misura del successo, sugli incentivi monetari come strumento di motivazione delle persone. In momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo, è probabilmente più semplice vedere i limiti di questo modello e riscoprire i pregi di un modello imprenditoriale (come quello olivettiano) che concepisce l’impresa come un istituto sociale che persegue il bene comune, creando cultura, innovazione e benessere per tutti gli stakeholder. La seconda riflessione riguarda l’universalità o l’italianità del modello imprenditoriale sviluppato dagli Olivetti. Da un lato, esso sembra essere la rappresentazione di un modello universale, perché è fondato sui valori della tensione verso la crescita, la ricerca dell’economicità di lungo periodo, l’innovazione e l’assunzione di responsabilità sociali e ambientali. Dall’altro lato, esso si fonda su valori tipici italiani, si pensi all’influenza dell’umanesimo (e.g., l’attenzione al bello e all’estetica, l’integrazione della cultura umanistica con quella tecnica, la centralità della persona e l’attenzione al suo sviluppo personale e professionale), e su un’energia imprenditoriale tipica di vari territori del nostro Paese, caratterizzati dalla presenza di un elevato numero di medie imprese (le cosiddette multinazionali tascabili o imprese del quarto capitalismo) che sono leader di nicchie o segmenti di mercato globali (non solo nei settori tipici del made in Italy).